Ci facciamo un panino? Chissà quante volte avrete fatto o risposto a questa domanda. Un panino (gustoso, soffice, nutriente) è sempre il metodo più veloce per combattere i morsi della fame. Un panino condiviso, poi, riesce a rendere piacevole anche la pausa pranzo più triste con il più noioso dei colleghi, e anche il “panino” solitario ha più di un perché. Fateci caso, il panino è un cibo “ottimista” che mette sempre allegria. Probabilmente la felicità che ci dà mangiarlo è la stessa che provavamo, da antichi primati, quando sull’albero scovavamo il frutto più succoso. Poi il mondo è cambiato, siamo cambiati noi, con tutte le nostre abitudini. E sul versante alimentare, forse, è proprio per colmare la mancanza di un cibo pronto, da afferrare e mangiar subito di atavica memoria, che abbiamo inventato il “panino”. Con il passare del tempo, naturalmente, si è evoluto anch’esso.
Mastichiamo un po’ di storia
Storici e studiosi ritengono che l’origine del panino combaci con l’invenzione stessa del pane. Esistono graffiti nella Valle de Tehuacán, nello Stato di Puebla a est di Città del Messico che testimoniano di come la “tortilla” (semplice impasto di farina di mais e acqua) abbia ben 7.000 anni, mentre in India le prime testimonianze del “roti”, la cialda di pane asiatica, risalgono al 2.000 avanti Cristo. Tra gli antenati più illustri, del panino vero e proprio, c’è una ricetta del I secolo d. C. ideata dal rabbino Hiller che mise fra due fette di pane azzimo l’agnello pasquale e le erbe amare della tradizione, forse per simboleggiare gli Ebrei schiacciati dal giogo egizio. Ma le testimonianze del panino vero e proprio risalgono a epoca romana, con il “Panis ac perna”, ossia pane e prosciutto. Al tempo dell’Impero, i romani ne erano così ghiotti, che la via dei mercati urbani era tutta un pigia pigia di salumai. Moltissimi anni dopo, a questo spuntino fu dedicata addirittura una strada della Capitale, via Panisperna, dove le suore Clarisse ogni 10 agosto ne distribuivano “pane e prosciutto” ai poveri del quartiere. Tuttavia, sino al XVIII secolo, il panino non aveva un vero nome: si diceva pane e formaggio, pane e arrosto, pane e salsiccia, etc. Il battesimo del panino venne tenuto da John Montagu, quarto conte di Sandwich, esploratore e accanito giocatore di carte. La leggenda narra che, impossibilitato a lasciare il tavolo da gioco del Beef Steak Club di Londra, il nobiluomo avesse ordinato a un cameriere di portargli qualche fetta di carne in mezzo a due fette di pane tostato. La cosa in sé non aveva nulla di straordinario, ma da quel momento tutti gli altri soci del club presero a chiedere “lo stesso di Sandwich” e da qui a ordinare semplicemente “un sandwich”. Il nome che, ancora oggi, definisce internazionalmente il panino: per gli anglosassoni sempre preparato con il pane a cassetta, morbido e leggermente tostato, mentre i latini lo preferiscono col tradizionale pane casereccio.
Il panino è bello perché è vario
Da qui in poi è tutto un fiorire di varianti, più o meno famose. In Florida alla fine dell’800 compare l’hot dog (letteralmente “cane caldo”) che deve il proprio nome dal fatto che il wurstel con cui è imbottito assomiglia, appunto, a un bassotto. Ben più antichi, e di origine maya, sono tortillas, burrito e taco. Ci sono poi i piatti di pane africani come l’injera etiopica e la pita mediorientale, che in decine di variazioni ha conquistato Turchia, Grecia, Balcani, Israele e Palestina, divenendo comodo involucro per kebab, souvlaki, gyro o falafel. Molto più recente la piadina romagnola, la cui prima ricetta compare se compare (solo) nel 1371.Gli Stati Uniti detengono il record del numero maggiore di spuntini famosi, dal “Submarine sandwich” al panino “Monte Cristo”, fino ad arrivare all’hamburger, reso celebre in tutto il mondo solo nel 1931 grazie all’amico di Popeye Poldo Sbaffini, creato dal fumettista E. C. Segar. Nelle sue ormai numerosissime varianti, il panino oggi è da anni il cibo da strada per eccellenza in ogni punto del globo. In Sudafrica va forte il “Gatsby”, una baguette con carne o salsiccia, insalata, formaggio e patatine fritte, mentre la specialità australiana è il “Sausage Sizzle”, un sandwich di pancarré con salsiccia di manzo e pollo assieme a salse varie. Persino l’Africa mediterranea ha i suoi panini e non soltanto le sue sfoglie. In Tunisia è notissimo il “Tuna Baguette”: tonno, uova sode, succo di limone, olive nere e harissa, un salsa piccante. Il podio per il panino più originale lo conquista lo “Shark & bake”, che si può gustare nei chioschi di Trinidad e Tobago: pane e squalo fritto. E in Italia? La tradizione Romana del “panis perna” non si è mai interrotta, anzi, ha dato vita a eccellenze inarrivabili, spesso inventate per gustare anche le meno nobili frattaglie. È il caso del “panino col lampredotto fiorentino” (stomaco di vitello) e del palermitano “pani ca meusa”, imbottito con milza e polmone di vitello. Ma non si possono scordare “u morzeddu” di Catanzaro (interiora di vitello in salsa piccante), il marchigiano panino con le spuntature (budellina di vitello da latte) e il “pan co’ grifi” aretino, imbottito con le parti magre e callose del muso di vacca chianina.
Oggi il panino è gourmet
Il panino gourmet rappresenta lo stadio finale di un’evoluzione secolare e trasforma il sandwich in un piatto per veri intenditori. L’idea del panino Gourmet è dello chef toscano Alessandro Frassica, già fondatore di “’Ino”, il locale di Firenze tempio dell’eccellenza gastronomica “tra due fette di pane”. Come ha ricordato lui stesso in un’intervista “‘Ino è iniziato dal desiderio di creare un contenitore di ottimi ingredienti e belle persone, utilizzando il pan’ino come strumento. Un posto dove poter comprare ciò che mangi e mangiare ciò che puoi comprare. Dieci anni fa non era poi così ovvio. E dimostrare che in pieno centro di una città turistica si poteva fare qualità.” Sempre alla ricerca di eccellenze gastronomiche da usare come ingredienti per i suoi panini, Alessandro è stato recentemente conquistato dalla gamma di oli di Frantoio Muraglia, prodotti da una famiglia che ha fatto la storia dell’olio pugliese. Spremuti a freddo con molazze di granito: fruttati, denocciolati, aromatizzati, di qualità superiore. 100% made in Italy. E grazie ad Alessandro, oggi famoso nel mondo, c’è stato anche un salto concettuale nell’approccio al panino. Sceglierne uno piuttosto che un altro diventa elemento di distinzione, una vera affermazione di personalità, gusto e stile.
Liberi di poter dire: “questo è il mio panino!”
Lo sostiene Matteo, 20 anni, studente dell’Accademia di Belle Arti di Torino. Niente calcio per lui, ma un’irrefrenabile passione per la pittura e… per i panini. “Mangio spesso sulle panchine dei giardinetti nell’intervallo tra una lezione e l’altra” confessa. “Prima mi compravo pizzette e altro al bar, come tutti. Poi mi sono annoiato e ho deciso di applicare anche lì la mia creatività. Non so se le mie ricette possano definirsi “Gourmet”: so che sono buone e lo conferma il fatto che c’è sempre qualche amico che sta lì a “elemosinare” un morso. I compagni fanno anche le classifiche: questo è più buono dell’altro e via così. Quello che va di più l’hanno battezzato con il mio nome… panino Matty lo chiamano. Son sempre lì a chiedere: tira fuori il Matty, non fare il furbo, lo sappiamo che ce l’hai nello zainetto. Io sono contento e loro offrono il beveraggio: per farlo uso delle pagnottine con semi di sesamo. Dentro ci metto salmone affumicato (quello che trovo sottovuoto al minimarket), cetrioli, formaggio spalmabile e, se so che c’è una ragazza carina, anche una fettina di avocado. Sale, pepe, limone e un filo d’olio extravergine d’oliva. A vederlo sembra un quadro. Che colori e… che mangiate! ”Diversa la storia di Giulia, quarantenne pendolare per Roma. “I panini in stazione non li ho mai comprati: mi fanno orrore. Unti, ipercalorici, zeppi di salse e affettati. Personalmente faccio attenzione a quello che mangio, cerco di consumare il più possibile cibi salutari. Di solito me la cavo con un mela, uno yoghurt tipo greco, e il mio panino preferito: due fette di pane integrale in cassetta, una fetta di melanzana che griglio la sera prima, cubetti di pomodorino, scaglie di parmigiano, foglie di basilico, sale, pepe e un filo di olio extravergine d’oliva. Natura, freschezza, bontà, leggerezza. ”Decisamente in pole-position invece, la storia di Mirko, 35 anni, venditore lombardo d’auto. “Le persone sono macchine e la vita un’autostrada” è la frase che gli amici gli attribuiscono più spesso. “Oggi pensiamo e mangiamo velocemente. Ma dobbiamo per questo rinunciare alla bontà? Faccio sempre pausa pranzo (tra colleghi lo chiamiamo pit-stop) al bar davanti. Un giorno, con il proprietario (Michele) che è diventato anche un amico, ci siamo detti: perché non c’inventiamo qualcosa di nuovo? Io mangio sempre i tuoi panini, sono buoni per carità, ma se cambiassimo un po’… l’offerta? Così è nato “Turbo”, un sandwich fatto con due fette di pane casereccio abbrustolito in padella, cipolla rossa caramellata o ammorbidita sul fuoco, qualche fetta d’arrosto tagliata sottile, salsa worcester e olio extravergine d’oliva (quello buono) per ammorbidire il tutto. Piace molto ai miei colleghi, ma anche ai venditori di una concessionaria concorrente, anche se non lo ammetterebbero mai. Li ho visti personalmente aggiungere anche una fetta di provolone.”